venerdì 15 novembre 2013

Matteo Renzi e la Destra inciucciano...

Il progetto “Sindaco per l’Italia”
La formula speciale c’è, si chiama il “Sindaco d’Italia”. Viene presentata come toccasana ai tanti guai che affliggono il sistema politico italiano. In queste settimane si sono moltiplicati, da destra e da sinistra, gli appelli ad una riforma elettorale del famigerato “porcellum” in tal senso. La miracolosa pozione estende il sistema elettorale utilizzato per le grandi città al Parlamento, eleggendo il capo del governo come fosse il sindaco. Un mix tra presidenzialismo e semi-presidenzialismo, una assoluta novità in campo costituzionale. Senza dare un prematuro giudizio, vediamo le varie posizioni, a partire da Marcello Veneziani che ha dedicato il suo elzeviro su Il Giornale del 14-11: “Signori del centrodestra, volatili e rettili di ogni tipo, avete una grande possibilità per sbloccare la situazione e dare un segnale di svolta al Paese: sostenete a spada tratta la proposta di Matteo Renzi sull'elezione diretta del premier, meglio nota sin dai tempi di Mariotto Segni come un Sindaco per l'Italia…”. Contemporaneamente Cesare Maffi su Italia Oggi titola “Il sindaco d'Italia è una bufala!” e reclama “Un po' di chiarezza sarebbe al riguardo utile. Partiti eredi dell'antica destra, e ovviamente anche l'attuale Pdl e domani Fi, potrebbero fare una bandiera del presidenzialismo, senza lasciarlo in mano a Renzi (per di più con carte truccate).”
Il riferimento di Veneziani a Renzi è dovuto all’uscita fatta dall’ex-rottamatore tramite twitter qualche giorno prima: "È Importante fare una proposta che abbia caratteristiche semplici: il primo elemento di semplicità è che si sappia chi ha vinto. Poi, chi ha vinto deve governare: non è che ci mettiamo insieme di nuovo, le larghe intese, l’inciucio. Inoltre, chi vince e governa deve avere cinque anni davanti, un minimo di arco temporale davanti". "La nostra proposta - prosegue - va sotto il nome di sindaco d’Italia, nome un po' riduttivo. La sintesi è una legge elettorale in cui si sa chi ha vinto. E credo sia più serio che chi deve rifare la legge elettorale non ci faccia passare dal porcellum al superporcellum al porcellinum. Una cosa seria non una misera occasione per sfangare il giudizio della Corte costituzionale..".
Su La Repubblica il giorno dopo, 12 novembre, commentano così: “Un affondo, quello del sindaco, che non a caso arriva proprio il giorno in cui la Commissione Affari costituzionali del Senato è chiamata a votare su due ordini del giorno depositati il 7 novembre: il primo a firma Pd-Sc-Sel sul doppio turno di coalizione, il secondo a firma Lega Nord sul ritorno al Mattarellum. Per il sindaco, se la Consulta deciderà di fatto per un sistema proporzionale il Pd proporrà la sua legge elettorale.”
In Senato poi la mozione sul doppio turno non è stata accolta. Ora sono aperte le trattative per un ritorno al sistema precedente, il mattarellum, un sistema misto proporzionale maggioritario, con i collegi uninominali e le liste bloccate al proporzionale.
Tornando alla proposta che sta raccogliendo consensi a tutto campo, quella del sindaco d’Italia, è forse il caso di togliere le suggestioni comunicative per toccare con mano che cosa può voler dire in pratica un sistema elettorale così concepito. Prima di tutto occorre dire che Renzi gioca con le parole, come fa il gatto con il topo. Alla convention della Leopolda si era espresso contro il proporzionale, in modo piuttosto vivace, dicendo che “glielo fare passare questa voglia di proporzionale”. Passano pochi giorni e, sorpresa delle sorprese, se ne esce con un pubblico sostegno al sistema dei sindaci delle grandi città, che è un sistema proporzionale, con premio di maggioranza molto importante, pari al 60% dei seggi. Il calcolo è presto fatto: 370 seggi alla Camera, molti di più dei 340 del porcellum. I seggi verrebbero assegnati proporzionalmente ai partiti che sorreggono il candidato “sindaco d’Italia”. Il bello però deve ancora venire. Se nessun candidato ottiene il 50%, automaticamente scatta il secondo turno, dove la competizione non è più tra i partiti o le coalizioni, ma tra i primi due candidati alla premiership che hanno ottenuto più voti al primo turno. Sarebbe un voto molto personale, sul candidato, che dovrebbe avere presentato un programma e, forse, preannunciato la composizione della sua squadra di governo.
A questo punto è il caso di andare a vedere come funziona questo sistema elettorale, al di là della retorica propagandistica dei vari sostenitori. Una prima importante osservazione è che un tale sistema scompaginerebbe la Costituzione, di fatto girandola sotto sopra come un calzino: nuova forma di governo, fine del parlamentarismo,  sbilanciamento a favore dell’esecutivo. Un sicuro addio alla centralità del Parlamento e avvio della Terza Repubblica.
A parte questi “dettagli” giuridici, per avere un idea un po’ più concreta, meno accademica, è importante vedere come potrebbe funzionare il sistema con le persone che ci sono oggi. Ad esempio, con tutte le cautele del caso, se il 24 febbraio 2013 si fosse votato con un sistema simile, tenendo buoni i risultati emersi dalle urne, si avrebbe:
-          Bersani 29,55 %
-          Berlusconi 29,18 %
-          Grillo 25,56 %
-          Monti 10,56 %
A leggere questo elenco di nomi sembra che sia passata un epoca, invece sono solo pochi mesi. Comunque a febbraio nessun candidato ha avuto la maggioranza assoluta, per cui passano ad un secondo turno i primi due, in un ballottaggio da tenersi dopo due settimane. Una specie di referendum improprio tra Bersani e Berlusconi.
La partita tra i due avrebbe avuto un esito scontato, accontentando così chi vuole sapere subito il nome del vincitore: il Caimano.
Oggi, dopo nove mesi possiamo tranquillamente osservare che un tale scenario sarebbe stato disastroso per tutti, anche per entrambi gli schieramenti, perché avrebbe irrigidito due leadership che si sono dimostrate, per motivi differenti, non adatte a prendere in mano il Governo e l’Italia. Però, la parte più inquietante deve ancora venire ed è quella delle “squadre”, che circondano i rispettivi leader, perché è la squadra che governa e gioca, più che il singolo. Qui cala una nebbia fittissima. Non per il Cavaliere, che ha solo l’imbarazzo della scelta, tra le varie cerchie di fedelissimi; si può ipotizzare un mix tra berluscones (fedelissimi della famiglia allargata e ad arcoriani) e berlusconiani di varia estrazione (aennini, democristiani, socialisti…) con l’aggiunta a piacere di tocchi femminili.
Nell’ipotesi Bersani la squadra sarebbe stata controllata dal cosiddetto “tortello magico”, lo stretto giro di emiliani che si era formato intorno allo Smacchiatore di giaguari, che decideva tutto nel partito e nella coalizione di sinistra. Qui, casualmente, era passato da poco il rischio di incappare nel gruppo del cosiddetto “sistema Sesto”. Ci aveva pensato la magistratura di Monza a mettere fuori gioco il suo precedente capo della segreteria, Filippo Penati, con tutta la sua numerosa banda, che proprio in questi giorni è chiamata a rispondere alle domande degli inquirenti e dei giudici.
Nel caso di Grillo l’ipotetica squadra sarebbe stata tutta da inventare, come stanno dimostrando in questi mesi i parlamentari del M5S.
In definitiva, può essere pericoloso affidarsi a slogan come quello del “sindaco d’Italia” che possono procurare parecchi danni, sovvertendo un sistema costituzionale che è stato oggetto di continue manipolazioni, che lo rendono precario e instabile, come la riforma del titolo V del 2001.
Il problema principale non è quello giuridico, che è sempre risolvibile con la tecnica, condita da pazienza e buona volontà. La preoccupazione è che non si vedono in giro persone adatte a reggere con dignità, onestà e coraggio a cinque anni di governo, come vogliono la Destra e Matteo Renzi.

mercoledì 13 novembre 2013

La "Bottega" del Cavaliere cambia nome. Tanto per non cambiare nulla ...

Volenti o nolenti, anche questo mese se l’è accaparrato Berlusconi. Con tutte le sue invenzioni mediatiche, i suoi patimenti pubblici e privati, conditi da esagerati problemi giudiziari. L’agenda politica è fatta da lui e dai suoi appuntamenti: sabato prossimo Consiglio nazionale del PDL e mercoledì 27 novembre ci sarà il voto sulla sua decadenza da senatore. In sala macchine mercanteggiano sulla legge di stabilità, mentre lui tiene l’opinione pubblica occupata con il tormentone della sentenza di condanna inflittagli dalla Cassazione il 1° agosto, con l’aggiunta del passaggio dal PDL a Forza Italia. Sono passati neanche due mesi dall’inaugurazione della nuova sede di Roma, a San Lorenzo in Lucina, che sui giornali imperversano i resoconti della lotta fratricida  tra lealisti e governisti nel PDL. Questa specie di guerra civile dovrebbe concludersi sabato, con la seconda riunione del Consiglio nazionale, formato da circa 800 persone, appositamente convocato per il cambio nome, con una scaletta dei lavori ancora misteriosa. Tanto fumo per niente, per un modesto cambio di insegna alla ditta, che è sempre la stessa “bottega” del Cavaliere, che da buon venditore è in perenne fermento....