La formula
speciale c’è, si chiama il “Sindaco d’Italia”. Viene presentata come toccasana
ai tanti guai che affliggono il sistema politico italiano. In queste settimane
si sono moltiplicati, da destra e da sinistra, gli appelli ad una riforma
elettorale del famigerato “porcellum” in tal senso. La miracolosa pozione
estende il sistema elettorale utilizzato per le grandi città al Parlamento,
eleggendo il capo del governo come fosse il sindaco. Un mix tra
presidenzialismo e semi-presidenzialismo, una assoluta novità in campo
costituzionale. Senza dare un prematuro giudizio, vediamo le varie posizioni, a
partire da Marcello Veneziani che ha dedicato il suo elzeviro su Il Giornale del 14-11: “Signori del
centrodestra, volatili e rettili di ogni tipo, avete una grande possibilità per
sbloccare la situazione e dare un segnale di svolta al Paese: sostenete a spada
tratta la proposta di Matteo Renzi sull'elezione diretta del premier, meglio
nota sin dai tempi di Mariotto Segni come un Sindaco per l'Italia…”. Contemporaneamente
Cesare Maffi su Italia Oggi titola “Il sindaco d'Italia è
una bufala!” e reclama “Un po' di chiarezza sarebbe al
riguardo utile. Partiti eredi dell'antica destra, e ovviamente anche l'attuale
Pdl e domani Fi, potrebbero fare una bandiera del presidenzialismo, senza
lasciarlo in mano a Renzi (per di più con carte truccate).”
Il riferimento di Veneziani a Renzi è dovuto all’uscita fatta dall’ex-rottamatore
tramite twitter qualche giorno prima: "È
Importante fare una proposta che abbia caratteristiche semplici: il primo
elemento di semplicità è che si sappia chi ha vinto. Poi, chi ha vinto deve
governare: non è che ci mettiamo insieme di nuovo, le larghe intese,
l’inciucio. Inoltre, chi vince e governa deve avere cinque anni davanti, un
minimo di arco temporale davanti". "La nostra proposta - prosegue - va sotto il nome di sindaco
d’Italia, nome un po' riduttivo. La sintesi è una legge elettorale in cui si sa
chi ha vinto. E credo sia più serio che chi deve rifare la legge elettorale non
ci faccia passare dal porcellum al superporcellum al porcellinum. Una cosa seria non una misera
occasione per sfangare il giudizio della Corte costituzionale..".
Su La Repubblica il giorno dopo, 12 novembre, commentano così: “Un affondo, quello del sindaco, che non a caso arriva
proprio il giorno in cui la Commissione Affari costituzionali del Senato è
chiamata a votare su due ordini del giorno depositati il 7 novembre: il primo a firma
Pd-Sc-Sel sul doppio turno di coalizione, il secondo a firma Lega Nord sul
ritorno al Mattarellum. Per
il sindaco, se la Consulta deciderà di fatto per un sistema proporzionale il Pd
proporrà la sua legge elettorale.”
In Senato poi la mozione sul doppio turno non è stata accolta. Ora sono
aperte le trattative per un ritorno al sistema precedente, il mattarellum,
un sistema misto proporzionale maggioritario, con i collegi uninominali e le
liste bloccate al proporzionale.
Tornando alla proposta che sta raccogliendo consensi a tutto campo,
quella del sindaco d’Italia, è forse il caso di togliere le suggestioni
comunicative per toccare con mano che cosa può voler dire in pratica un sistema
elettorale così concepito. Prima di tutto occorre dire che Renzi gioca con le
parole, come fa il gatto con il topo. Alla convention
della Leopolda si era espresso contro il proporzionale, in modo piuttosto
vivace, dicendo che “glielo fare passare
questa voglia di proporzionale”. Passano pochi giorni e, sorpresa delle
sorprese, se ne esce con un pubblico sostegno al sistema dei sindaci delle
grandi città, che è un sistema proporzionale, con premio di maggioranza molto
importante, pari al 60% dei seggi. Il calcolo è presto fatto: 370 seggi alla
Camera, molti di più dei 340 del porcellum. I seggi verrebbero assegnati
proporzionalmente ai partiti che sorreggono il candidato “sindaco d’Italia”. Il
bello però deve ancora venire. Se nessun candidato ottiene il 50%,
automaticamente scatta il secondo turno, dove la competizione non è più tra i
partiti o le coalizioni, ma tra i primi due candidati alla premiership che
hanno ottenuto più voti al primo turno. Sarebbe un voto molto personale, sul
candidato, che dovrebbe avere presentato un programma e, forse, preannunciato la
composizione della sua squadra di governo.
A questo punto è il caso di andare a vedere come funziona questo sistema
elettorale, al di là della retorica propagandistica dei vari sostenitori. Una
prima importante osservazione è che un tale sistema scompaginerebbe la
Costituzione, di fatto girandola sotto sopra come un calzino: nuova forma di
governo, fine del parlamentarismo, sbilanciamento a favore dell’esecutivo. Un
sicuro addio alla centralità del Parlamento e avvio della Terza Repubblica.
A parte questi “dettagli” giuridici, per avere un idea un po’ più concreta,
meno accademica, è importante vedere come potrebbe funzionare il sistema con le
persone che ci sono oggi. Ad esempio, con tutte le cautele del caso, se il 24
febbraio 2013 si fosse votato con un sistema simile, tenendo buoni i risultati
emersi dalle urne, si avrebbe:
-
Berlusconi 29,18 %
-
Grillo 25,56 %
-
Monti 10,56 %
A leggere questo elenco di nomi sembra che sia passata un epoca, invece
sono solo pochi mesi. Comunque a febbraio nessun candidato ha avuto la
maggioranza assoluta, per cui passano ad un secondo turno i primi due, in un
ballottaggio da tenersi dopo due settimane. Una specie di referendum improprio tra
Bersani e Berlusconi.
La partita tra i due avrebbe avuto un esito scontato, accontentando così
chi vuole sapere subito il nome del vincitore: il Caimano.
Oggi, dopo nove mesi possiamo tranquillamente osservare che un tale
scenario sarebbe stato disastroso per tutti, anche per entrambi gli
schieramenti, perché avrebbe irrigidito due leadership che si sono dimostrate,
per motivi differenti, non adatte a prendere in mano il Governo e l’Italia. Però,
la parte più inquietante deve ancora venire ed è quella delle “squadre”, che
circondano i rispettivi leader, perché è la squadra che governa e gioca, più
che il singolo. Qui cala una nebbia fittissima. Non per il Cavaliere, che ha
solo l’imbarazzo della scelta, tra le varie cerchie di fedelissimi; si può
ipotizzare un mix tra berluscones (fedelissimi
della famiglia allargata e ad arcoriani) e berlusconiani di varia estrazione (aennini,
democristiani, socialisti…) con l’aggiunta a piacere di tocchi femminili.
Nell’ipotesi Bersani la squadra sarebbe stata controllata dal cosiddetto
“tortello magico”, lo stretto giro di
emiliani che si era formato intorno allo Smacchiatore
di giaguari, che decideva tutto nel partito e nella coalizione di sinistra.
Qui, casualmente, era passato da poco il rischio di incappare nel gruppo del
cosiddetto “sistema Sesto”. Ci aveva pensato la magistratura di Monza a mettere
fuori gioco il suo precedente capo della segreteria, Filippo Penati, con tutta
la sua numerosa banda, che proprio in questi giorni è chiamata a rispondere alle
domande degli inquirenti e dei giudici.
Nel caso di Grillo l’ipotetica squadra sarebbe stata tutta da inventare,
come stanno dimostrando in questi mesi i parlamentari del M5S.
In definitiva, può essere pericoloso affidarsi a slogan come quello del
“sindaco d’Italia” che possono procurare parecchi danni, sovvertendo un sistema
costituzionale che è stato oggetto di continue manipolazioni, che lo rendono
precario e instabile, come la riforma del titolo V del 2001.
Il problema principale non è quello giuridico, che è sempre risolvibile
con la tecnica, condita da pazienza e buona volontà. La preoccupazione è che
non si vedono in giro persone adatte a reggere con dignità, onestà e coraggio a
cinque anni di governo, come vogliono la Destra e Matteo Renzi.