Il quadro politico di queste
elezioni finalmente si sta delineando e si capisce qualcosa in più. Venerdì,
sabato e domenica 13 gennaio, al Ministero degli Interni c’è la presentazione
dei contrassegni di partito, il deposito dei programmi con il nome dei capi
coalizione per le prossime elezioni del 24 febbraio. E’ molto probabile che
dopo il voto i programmi della sinistra e della destra verranno messi in un
cassetto. C’è la sensazione che la gara sia taroccata, come tante altre in
Italia.
Ufficialmente la campagna
elettorale non è ancora iniziata ed è già virtualmente finita, perché l’attenzione
è ormai rivolta a dopo le elezioni, a fare calcoli su calcoli su cosa potrà succedere
a marzo quando si riuniranno per la prima volta le Camere.
La questione in sospeso è la
seguente: il vecchio Caimano riuscirà a riprendere ancora una volta la stolta
“Anatra zoppa” del Senato? La risposta è già contenuta nella domanda, nel senso
che fino ai primi di dicembre, un mese fa, nessuno dei democratici del PD e dei
montiani del trio ”Sciagura” pensava fosse possibile una simile folle rincorsa.
Invece, eccoci qua a fare le
somme con il bilancino per stimare la futura maggioranza al Senato. Sarà un
caso, ma di questo difetto del sistema elettorale, ne ho parlato nel libro scritto con Giorgio Galli, Stella e Corona, che
evidentemente i bersaniani non hanno comperato, ne preso a prestito dalla
biblioteca.
Inizialmente i conteggi
sulla futura composizione della maggioranza al Senato davano sempre in
vantaggio la coalizione PD-SEL, con 170 seggi su 315. Dopo un mese, gli scenari
sono in forte evoluzione, per il recupero in corso della coalizione PDL-Lega,
composta anche da una miriade di partitini come Fratelli d’Italia. Alla Camera
Bersani dovrebbe vincere facile e prendersi il premione di 340 seggi su 630, come
dispone il porcellum, mentre al Senato i premi sono regionali, per cui bisogna
sommare gli esiti di ogni regione.
Quelle più grandi contano
parecchio.
A questo punto entra in
funzione l’azzoppa coalizioni, che funziona: se le due principali
coalizioni sono più o meno pari come
voti, i seggi assegnati possono cambiare di molto. In Lombardia, quella che
perde il premio, anche per solo per un voto, prende 12 seggi, ha stimato
D’Alimonte sul Sole24Ore, invece di 27. L’inverso in un’altra regione, con un
effetto di compensazione accentuato dalla presenza di varie minoranze.
D’Alimonte ha calcolato varie situazioni, se Bersani non ce la dovesse fare a
vincere in Lombardia e Veneto, otterrebbe una quota in Senato molto risicata,
intorno ai 155-157 seggi su 315.
Queste cifre possono far
aprire una campagna acquisti o determinare una nuova coalizione di governo.
Bersani in questo momento
non appare avere idee fresche, ha già dato tutto da un punto di vista
comunicativo nei mesi scorsi, è come un fondista che non è in grado di fare lo
sprint finale. Senza una sua maggioranza autonoma al Senato, Bersani è
spacciato, non potrà fare il premier, con il sollievo di quanti, soprattutto nella
parte appiedata del suo partito, lo ritengono non adeguato al ruolo di capo del
governo.
Condizione che condividerà
con altri suoi colleghi, Monti, Grillo, Ingroia e Berlusconi, che notoriamente,
per varie ragioni, non sono proponibili a tale ruolo. Tutti i capi coalizione in
corsa sono destinati a non essere
proposti come futuri premier. Però, siamo una repubblica parlamentare, i
governi si presentano in Parlamento, come da Costituzione, non alle urne.
immagine tratta da: sardegnademocratica.it